Storia del Pitbull
La storia del pitbull ha origini molto antiche in quanto risale al periodo dei Romani quando il loro esercito si trovò a fronteggiare dei feroci cani da guerra a seguito dei Bretoni.
L’imperatore Claudio, impressionato dall’indomabile indole di questi animali, decise di importarne alcuni esemplari per impiegarli nelle terribili lotte al Colosseo.
In seguito a vari incroci fu selezionata una razza che combatteva contro i tori, da cui deriva l’appellativo di bull-dog, considerato l’antenato più prossimo del pitbull attuale.
Dopo molti decenni durante cui questi coraggiosi cani venivano messi di fronte a tori, orsi e altri pericolosi animali, ai primi dell’ottocento in Inghilterra fu promulgata una legge che mise al bando simili combattimenti.
Secondo attendibili fonti sembra che il pitbull sia nato dall’incrocio tra cani di tipo bulldog e altri di tipo terrier, allo scopo di ottenere esemplari sempre combattivi ma molto agili.
L’origine etimologica del nome “pitbull” potrebbe essere riconducibile al termine “pit” che in inglese significa “fossa” con evidente riferimento alle zone dove gli animali erano costretti a combattere.
Verso la fine del 1800 questi cani non furono più considerati soltanto esemplari da lotta, ma anche da esposizione, che comunque non vennero accettati dall’American Kennel Club a causa della loro fama di esemplari pericolosi.
Come risposta a tale ingiustificato rifiuto fu fondata la United Kennel Club, un organismo che radunava le razze canine non accettate dall’American.
Durante la prima guerra mondiale i pitbull furono riconosciuti dall’esercito degli Stati Uniti come cani al servizio delle truppe, che contribuivano a salvare la vita dei soldati durante le battaglie.
Divenuti simbolo del patriottismo americano essi furono considerati dei veri e propri eroi, la cui immagine era spesso presente nelle propagande Americane.
Il famosissimo Stubby, un pitbull che prestava servizio nella centoduesima divisione di fanteria, venne premiato con numerose medaglie e nominato sergente.
Da pericolo pubblico ad eroe, il pitbull conquistò finalmente il ruolo che gli competeva, ovvero quello di un animale coraggioso, leale e sempre pronto ad affrontare il pericolo per salvare il suo padrone.
Probabilmente per questo motivo molti personaggi pubblici lo scelsero come fedele compagno di vita, imparando ad apprezzare le sue tante qualità unite ad un aspetto estetico particolarmente gradevole.
Non più associato all’idea di lotte bellicose tra cani e neppure a imprese di guerra, il pitbull divenne quindi l’icona di un animale domestico amabile e mansueto, ideale anche per vivere vicino ai bambini.
Ma la fama di questo animale era destinata a rimanere collegata alla ferocia; infatti dagli anni ’80 il pitbull è diventato il compagno preferito di criminali e gangster, tornando ad essere il simbolo dell’aggressività.
La razza è quindi stata catalogata come pericolosa, diventando sempre più una prerogativa di personaggi della malavita o comunque di individui violenti.
In seguito alla diffusione di notizie spesso non rispondenti alla realtà, anche attualmente il pitbull viene considerato un cane aggressivo e inadatto a un contesto famigliare.
In realtà molti esemplari di questa razza, se addestrati in maniera corretta, oltre ad essere socievoli e affettuosi, si prestano anche a servizi di utilità sociale, a terapie su persone diversamente abili oppure a cercare persone disperse.
Tenace e indomito, estremamente impavido e coraggioso, fedele fino alla morte verso il proprietario, il pitbull possiede un carattere amorevole e dolce che deve soltanto venire alla luce.
La sua pessima fama deriva dal fatto che esso viene spesso allevato da persone violente, che quindi ne condizionano lo sviluppo psico-emotivo.
Il contesto in cui si trova a vivere rappresenta un fattore discriminante in grado di condizionare in maniera decisiva l’indole dell’animale che, contrariamente a quanto si crede, è portato a condurre un’esistenza pacifica e serena.
Si tratta di un cane che più di altri è alla ricerca di stabilità emotiva e che pertanto deve vivere con persone che siano in grado di saperlo adeguatamente gestire.